“Forme primarie di Balderi”
Balderi dice che “dopo dieci anni di ricerca della forma attraverso la scultura” è arrivato alle forme primarie dell'uovo, “che è una rotazione dell'ellisse” e del prisma, “la cui sezione è il triangolo”.
Con queste due forme primarie lo scultore ha creato una serie di combinazioni addirittura sorprendenti, animate da un significato simbolico, in quanto il loro dinamismo vitale corrisponde al moto arcano dell'esistenza.
Ogni scultura non si spiega soltanto con la sua forma, poiché in tal caso sarebbero posti dei limiti troppo rigidi a una concezione che vuole essere più ampia e più aperta. Balderi è arrivato a una scelta razionale, che gli consente tuttavia di superare la logica delle combinazioni formali, per entrare nel dominio della purezza metafisica, che uno dei tanti modi d'essere della fantasia creatrice.
Nelle colonne di Balderi, del 1960, nonostante i tagli e le fenditure informali (che rompevano l'unità dello schema cilindrico) e la loro rastremazione in alto e alla base, si avvertiva, in nuce, pur nella grande varietà costruttiva dei tronchi, dei cippi, delle pietre miliari dalle forme falliche, la ricerca di alcuni elementi modulari, scoperti in seguito e applicati nelle “Cariti” del 1967.
Con tali elementi, lo scultore aveva raggiunto una sorta di unità nella varietà, combinandoli in gruppi di tre o di sette (Le “Cariti”, “Eptatlon”), come accordi simmetrici di note musicali dal timbro purissimo. E l'illusione di una musicale armonia, già evidente nei rapporti che legano insieme di singoli moduli, diversi l'uno dall'altro, è accresciuta dal tono bianco velato, misterioso della vetroresina, che sostituisce il gelido candore del marmo statuario neoclassico.
Forme di calici rovesciati, come sgusci netti in alto e in basso, di proporzioni differenti e, a tre quarti, verso l'alto, con due fenditure ovali, esatte, orizzontali e con due cerchi in rilievo sulla parte rigonfia, costituiscono le strutture che, divise, serviranno in seguito come moduli in “Atreo” (1968) e in “Eos (1969) per nuove sorprendenti composizioni, per elementi sovrapposti verticalmente o contrapposte orizzontalmente.
Con queste semplici combinazioni, Balderi crea le premesse per un'operazione, che si è sviluppata, pochi anni dopo, in una più decisa sintesi conclusa con la scelta delle due forme primarie: l'uovo e il prisma con la sezione triangolare.
Balderi ha sempre mirato all'essenza delle cose, al segreto delle proporzioni e dei rapporti, alla proposta degli equilibri impossibili. E ne ha dato la dimostrazione concreta nella serie delle sculture del 1970-73, distinte con le sigle: “D.1”, “D.2”, “D.3”, “D.4”, “D.5”, “D.6”, “D.7”, nelle quali ogni equilibrio è diventato possibile, grazie alla leggerezza e alla qualità del materiale impiegato (il contrasto fra l'assoluta razionalità delle varie combinazioni di queste due forme e gli sfondi di rocce e di grotte negli spazi di un ambiente naturale è reso con suggestiva evidenzia dalle fotografie di Arno Hammacher, che ne costituiscono la più esplicita documentazione).
Ormai il prisma sostituisce la colonna, solo o associato a un secondo, uguale, per sostenere l'uovo nelle più ardite situazioni statiche. “D.3” è una vera sfida la legge di gravità: il calcolo determina invece, ai limiti dell'assurdo apparente, una nuova dimensione fantastica.
Come appare nelle foto di Hammacher, inserzione di una forma perfetta nella sua casualità organica della natura sollecita l'immaginazione, in virtù del contrasto, e impone alla sua presenza un significato ben diverso da quello che potrebbe avere una semplice sorpresa visiva.
La bianca scultura di Balderi, vista sul colle, di fronte alle Balze di Volterra, e disposta sullo spazio ricavato con lo scavo di una enorme massa di terra nera, costituiva una prepotente violazione metafisica della solitudine selvaggia del luogo e della sua storia segreta. Fra la natura sconvolta e inaccessibile, si affermava la validità di un messaggio umanistico, che rivelava la continuità di un pensiero estetico mantenutosi integro nella sua essenza, anche attraverso il mutevole corso dei secoli.
Si alternano le contrapposizioni di “D.3”, di “D.4” e di “D.5”, sempre nei termini di quel meraviglioso gioco razionale, che tende all'irrealtà, nell'ambito di uno spazio organizzato e coerente, in cui l'uovo e prismi congiungono, come simboli di un cosmo poetico di non lontana origine brancusiana.
Altre due soluzioni (“D.6”e “D.7”) vanno al di là della normale logica costruttiva, per disporsi nel campo della pura invenzione fantastica. L'uovo è, nei due casi, sempre sostenuto, al centro, dalle punte estreme dei due prisma, disposti verticalmente o ad angolo, l'uno lungo una parete e l'altro sul piano, in una sfida costante alle convenzioni visive della scultura antica moderna.
Naturalmente queste opere non si possono descrivere (come, d'altronde, ogni altra opera d'arte) Per la molteplicità dei loro significati scoperti e nascosti, per la complessità della loro formazione.
Come si è detto esiste un distacco profondo fra certe sculture e gli aspetti più quotidiani della natura. Dominano le forme inventate (di qualsiasi origine e se siano), dominano come presenze arcane, che si legano al mistero delle cose.
Proprio come le forme primarie di Balderi, chiuse nella loro dimensione “mentale” e perciò sottratte a ogni possibilità di confronto, come masse plastiche, come corpi innaturali, che proiettano sul mondo le ombre nette della loro perfezione.
Giuseppe Marchiori – 1974 -
Foto: Enrico Cattaneo
Foto copertina catalogo: Arno Hammacher