Da una trentina d'anni (più o meno altrettanti durante i quali la seguo), pur nella dinamica evolutiva della propria elaborazione problematica, la scultura di Balderi manifesta almeno due costanti d'opzione immaginativa subito evidenti. Che il taglio di questa mostra peraltro mi sembra suggerisca con insistenza.
La prima riguarda la natura sostanzialmente ieratica simbolica delle sue produzioni plastiche. Fin dallo scorcio degli anni Cinquanta, quando ancora ricorrendo alla presenza pur strutturalmente composta dalla “figura umana”, e subito dopo, all'esordio dei Sessanta, in un accento di simulacro già soltanto organico, e di colonne organicamente segnate e sensibili, Balderi ha immaginato l'evento scultura come un segno plastico essenziale, fortemente verticalizzato, estraneo non soltanto evidentemente ad ogni connessione descrittiva, ma anche ad ogni implicazione di dinamica ambientale.
Si imponeva già allora infatti come assottigliata lanciata presenza, essenziale appunto, e risolta enigmaticamente in una propria introiezione riflessiva. E appunto quelle corsive Colonne,
tutt'altro che politamente affusolate, e invece matericamente sensibili, del 1960, segnate come da una ferita a taglio organico che almeno embrionalmente le umanizzava, quasi personalizzandole nell'attribuzione d'un volto, hanno permesso la definita prima presenza dell'allora giovanissimo scultore toscano-milanese nel dibattito plastico postinformale. E ora tale ieraticità la ritroviamo altrimenti, e quasi manifesta in modo rituale, in Esonartece III, del 1993-94.
La seconda costante, intimamente del resto connessa con la prima, riguarda una evidente naturale disposizione totemica del suo immaginare proporzioni plastiche. Se avvertibile nelle stesse Colonne, chiara mi sembra soprattutto in sculture dei secondi anni Sessanta quali penati (1967), ove il prototipo colonna, anziché sensibilmente discorsivo, si compatta in un'assolutezza che rende più pronunciato, più iconico, quel dischiudersi netto di volti-bocche, spingendo subito a suggestioni arcaiche. Ove l'impianto totemico serve proprio appunto una più accentuata connotazione ieratica. La quale peraltro non è soltanto tipica di tali arcane e arcaiche “cariatidi”, ma anche per esempio, e in particolare direi, di quella impressiva struttura orizzontale intitolata La tavola degli dei (1969-73) che Balderi pose in una grande fossa circolare in terra etrusca presso le balze per “Volterra 73”. E risultò uno degli interventi più memorabili di quella fortunata manifestazione. Densa, come si offriva, di richiami arcaici e insieme di suggestioni cosmiche futuribili, traversando dunque il tempo in una stupefazione veramente “metafisica”.
A volerne ricercare anche altre, questa può infatti apparire un'ulteriore ricorrenza connotativa nell'immaginario plastico di Balderi. La disposizione a situare appunto la ieraticità totemica, la suggestione simbolica assoluta da questa indotta, in una misura di distanza che è dunque appunto “metafisica”. E non tanto perché spiazzi in altra ottica le cose altrimenti contingenti, quanto perché sottrae da una dimensione di tempo relativo attraverso la suggestione emotivo-mentale di un imminente simulacro di tempo altro, assoluto, coniugante naturalmente passato il futuro. E la sua scultura se ne fa segnale, appunto totemica ieratica presenza.
La ieraticità è dunque del tempo; non riferita a una trascendenza, quanto si potrebbe dire ad una trascendentalità umana che proprio nella ritrovata limitatezza (e dunque onnicomprensiva) temporale recupera radici e nessi non contingenti.Fino appunto a suggerirne in Esonartece III quasi una certa condizione di ritualità.
E lì l'aura “metafisica”, agevole nella forma assoluta (come nelle “cariatidi”, 1967, nel “uovo”, 1979, nella “spirale”, 1979-81, nelle “città”, 1984-85), si sottopone al rischio dell'antropomorfizzazione emblematica. Quasi a richiudere il circolo del riferimento che torna sull'uomo, trentacinque anni dopo Giocolieri. L'uomo come riferimento implicito che Balderi si è sforzato di spostare dalla condizione del tempo contingente a quella del tempo assoluto, nella sua continuità.
“Uovo”, “spirale”, “città” sono temi che Balderi ha frequentato fra anni Settanta e Ottanta caratterizzando la ieraticità in valenze simboliche. L'”uovo” forse più che l'ovvia ma sempre magica origine della vita, per Balderi è specificamente l'origine più misteriosa del tempo. Lo issava totemicamente all'inizio degli anni Settanta su altrettanto essenziali strutture plastiche stereometriche, in un clima proprio di estrema suggestione “metafisica” (accentuatamente pura, vale a dire del tutto priva di accessori surreali). Oppure lo immaginava allora corposamente liberato entro situazioni ambientali. E l'”uovo” possiede naturalmente anche una valenza simbolica cosmica, che Balderi è stato infatti tentato di sviluppare in orditura strutturale in Sole, nel 1978. D'altra parte, restituendolo ad una organicomorfizzazione, lo ha infine designato issato protagonista totemico in Esonartece II, nel 1990.
Ma un altro percorso simbolico corre nella scultura di Balderi dalla spirale, del 1979 e poi '81, alle città, del 1984 e '85, e poi del 1990 e '91. La spirale, simbolo cosmico, si schiude nella città dell'uomo. La quale va pronunciando la propria presenza secondo un verticalismo che si rastrema appunto nel 1990 e '91 in soluzioni nuovamente totemiche. Al sommo, in un'estrema essenzialità emblematica, la città è un nodo strutturale, un'utopia che sfugge al tempo condizionato, ponendosi quale assoluto segno d'un valore culturale archetipo. A fronte di Esonartece II, contemporaneamente quasi, emblematico invece di un assoluto organico, cosmico. E torna appunto il modo caratteristico di un pronunciamento totemico, segnaletico, essenziale della sua arcana enigmatica purezza, “metafisicamente” eccepito segno duna restituita altra temporalità. Al confronto Esonartece III (che richiama in basso la spirale cosmica) si flette invece appunto in una evidente (persino per particolari citativi), simbolica, antropomorfizzazione: in realtà segna molto probabilmente la condizione d'una saldatura, d'un richiamo più direttamente umanistico, tuttavia sempre spinto a quel livello estremo di ieraticità totemica, ora come fattasi dunque rituale.
Resterebbe tuttavia da dire ancora di un'altra costante ricorrente nel far scultura di Balderi, Ed è quella sua tipica vocazione (di aristocrazia di tradizione artigiana, anche certo) Ad una estrema puntualità e pulizia dell'immagine plastica,Evidentissima nel suo lavoro dall'inizio degli anni Settanta. Non è questione di politezza (Benché comunque anche di questo possa trattarsi), Quanto e soprattutto di intrinseca qualità di dizione plastica.
Come affermare che Balderi è in realtà scultore di calibratura e persino sofisticazione mentale, Come non so chi altro sulla scena attuale. Significa che se la sua scultura si offre in un riscontro spaziale di scala umana (Esonartece III, per esempio, ha la sua stessa altezza dei piedi alle mani alzate), in una propria assolutezza di suggestiva fisicità materiologica (bronzo o altro che sia, caso per caso), la sua più autentica misura si riscontra infine in una calibratura mentale, per cui l'evento plastico è esito che l'immaginazione definisce in un lungo lavorio di decantazione ed essenzializzazione, in ragione del quale ogni passaggio risulta non soltanto manualmente controllatissimo ma progettualmente persino deliberato. Sempre segno fisico, insomma, di un'idea plastica portata laboriosamente a chiarezza; e istituzione dunque d'un linguaggio plastico consapevolmente calibratissimo.
Del resto corrispondente all'assolutezza emblematica “metafisica” che gli compete.
Se non scultore sperimentale, Balderi lo è indubbiamente in termini di ricerca, esattamente nel senso di una decantata puntualizzazione dell'immagine plastica in tutti i suoi snodi strutturali. E anche in questo senso Balderi sembra non trascorrere fra esperienze, quanto sviluppare un'insoddisfatta esperienza d'accorta definizione d'assoluto.
Enrico Crispolti - 1994
Foto copertina catalogo: Ivo Balderi