Catalogo Forte dei Marmi – Iginio Balderi- 1984 testo Andrea B. Del Guercio
La Mostra che la Galleria Comunale d’Arte Moderna di Forte dei Marmi dedica all’attività di Iginio Balderi prosegue un lavoro di informazione e di documentazione sui fatti che caratterizzano la creatività contemporanea. Durante questi anni tale impegno è stato condotto evitando la frequentazione di quelle personalità che, sorrette da una massiccia strategia di mercato e da un contesto critico impostato sul protagonismo, occupano insistentemente l’attività delle grandi istituzioni espositive ed editoriali; il lavoro della Galleria si è quindi orientato sull’individuazione e promozione dell’attività creativa, verificato un emblematico valore dai contesti culturali articolati, di artisti appartati ed in stretto e responsabile rapporto con l’area geografica rappresentata dalla Versilia Storica.
Dopo le mostre dedicate a Ugo Guidi ed Arturo Puliti ed ancora l’esposizione di quei numerosi scultori italiani, “Scultura e spazio urbano” e stranieri che frequentano gli storici laboratori del marmo e le fonderie di Pietrasanta e Carrara, il Comitato Direttivo della Galleria ha ritenuto importante presentare Iginio Balderi, u no scultore nato in quest’area, impegnato da oltre vent’anni a Milano ed espositivamente presente in numerose e qualificate sedi espositive europee.
La presentazione di Balderi assume un particolare significato ed un contributo nuovo ed autonomo ad un paesaggio espositivo toscano caratterizzato nell’attuale stagione da un complesso impegno su i temi della scultura contemporanea. Sono dell’opinione che la storia della scultura italiana di questo secondo dopo guerra debba essere ampiamente riosservata alla luce dei fatti collettivi e di costume intervenuti improvvisamente in questa stagione post industriale e che l’avventura creativa rappresentata da Iginio Balderi ci permette di tentare, almeno per il settore specifico della ricerca astratta, con valore emblematico per una generazione di scultori nata artisticamente alla fine degli anni ’50 quando mancavano tutti i presupposti di una committenza pubblica interessata a soluzioni di auto rappresentazione.
La natura della società italiana in espansione, ma caratterizzata esclusivamente dall’esigenza di individuazione di un’immagine privatizzata, consona al nuovo assetto sociale e quindi all’habitat familiare, non poteva non provocare una condizione di ghettizzazione dello scultore rispetto ai suoi naturali contesti, e quindi dallo spazio urbano e comunque di pubblica frequentazione. Senza eccessive generalizzazioni possiamo ben riferire a questa condizione negativamente improduttiva di confronto collettivo diretto, la penetrazione e produzione premonitrice di temi e problematiche, condotte con autonome caratteristiche espressive, oggi di chiara e drammatica attualità ed inascoltate dagli allora accelerati tempi del boom economico.
Ed è a questo clima che dobbiamo collegare il giovane Balderi, che arrivato a Milano per seguire la Scuola di Marino Marini, non poteva rimanere insensibile all’urlo di profondo e straziante dolore, espressionistico ed informale, lanciato dal Maestro pistoiese, e seppure vissuto con gli strumenti linguistici di una generazione che per la scultura in particolar modo dipendeva dalla rivoluzione astratta delle avanguardie storiche, ma anche attenta alle prime suggestioni progettuali e proto concettuali.
Nel 1959/60 nascono e vengono presentate introdotte da Russoli le “Colonne” che non possono neanche oggi essere interpretate, pur in una stagione post moderna, neo metafisica e citazionista, secondo i principi della testimonianza storico colta ma bensì riferibili ad un contesto originario dove i rapporti di edificazione e testimonianza architettonica si stringevano in un forte collegamento con l’habitat naturale, con le sue infinite forme funzionali all’esistenza.
Le “colonne” di Balderi, articolate e differenziate nel diametro e nell’altezza, raccolte in diverso numero, poste all’esterno e nell’interno, in gesso e nelle traduzioni in bronzo, mangiate, corrose in più punti, testimoniano, molto più della suggestione colta del titolo, l’impegno introspettivo del l’artista verso la anticipazione di umori ecologico antropologici.
Partendo dalla forma naturale dello stelo allungato tipico di tante piante e più precisamente riferendosi al fusto flessibile delle canne, la manipolazione creativa di Balderi ne ha estrapolato i dati formali applicandoli alle proprie esigenze funzionali ed espressive; la suggestione aulica del titolo regredisce così ad una funzione d’uso primordiale quali potevano essere le palafitte per l’uomo e con maggiore valore spirituale, il principio di uno strumento musicale progredito nel tempo.
Svettano così mozzate archeologicamente estratte dalla memoria antica tante emblematiche testimonianze di una realtà collettiva.
Una tale scelta formale tanto partecipata da avere ancora bisogno di forme di manipolazione informale che ne accentuasse l’emotiva partecipazione, testimonia della vivacità e dell’articolata intuizione di temi e problematiche che caratterizzeranno le esperienze progettuali degli anni ’65/’75, ed i temi più attuali dell’ecologia e del recupero di una cultura profonda e radicata ma dimenticata negli anfratti dell’inconscio collettivo; ritengo quindi che il valore e l’importanza, come fatto di sensibilità e di anticipazione, sia oggi per queste opere ancora intatto, riconfermabile all’interno di questa nuova esposizione e sicuramente molto più profondamente riconoscibile da tutti.
Tale sforzo di penetrazione e di analisi, e quindi l’impegno per un’attività di ricerca responsabilmente umana, mi sembra persistente ed in accentuazione nei cicli creativi successivi e crescere nella messa a fuoco di realtà formali dal sempre più profondo ed intimo significato. Nel grande bronzo del 1967/73 intitolato i “Penati” si assiste infatti al tentativo che riteniamo riuscito di aprire un dialogo con le allegoriche forme della cultura e dell’esperienza antica del Mediterraneo, ed effettuando tutto ciò con lo spirito ed i dati formali e tecnici della contemporaneità.
Ricordo la prima redazione in fibra di vetro, priva di ciò che a livello emozionale suggerisce la patina antica del bronzo, che testimoniava dello sforzo diretto e senza mediazioni di messa a fuoco di un’immagine ereditaria, forse scomparsa e poi tornata presente nell’inconscio dell’artista, con valore e significato collettivo. In anni in cui si scontravano certezze industriali e verità ideologiche, Balderi riapriva il dialogo, tentava così di recepire i segni che i “Penati”, recuperati e riconosciuti anche in questa società, ancora ai più attenti, lanciano.
Nelle traduzioni in bronzo, presentate in Mostra, la carica dialogante dell’opera, grazie alla straordinaria qualità delle patine raggiunta presso la storica Fonderia Tesconi di Pietrasanta, risulta sicuramente più evidente, ma nel significato di oscuro enigma, di suggestione negativa.
In entrambi i casi e pur di fronte ad un argomento tanto impenetrabile per quegli anni, Balderi introduce, per presa coscienza di un nuovo vocabolario espressivo, uno spirito ed una carica ironica e deretoricizzante, emblematizzata attraverso il divaricarsi delle fessure del giunco verso le forme di ampie labbra lungo il fusto piramidale, ed ancora suggerisce il raffreddamento dell’impianto formale generale, pur senza rischiare l’analitico, giudicato indispensabile nella risoluzione di temi sempre difficili da essere raggiunti: l’emozione è sempre più castigata dall’enigma, non gratifica una lettura “effimera” e risolve in un dialogo mentale tutto il suo impegno espressivo.
Negli anni successivi quelle che erano delle fessure, divaricate in forma di labbra per una voce inascoltata, prendono ulteriore spessore nel concepimento di nuove opere fino a raggiungere valore assoluto nella grande “Tavola degli dei”; sicuramente una delle opere più incisive della Mostra “Volterra’73”, curata splendidamente da Crispolti. II dialogo collettivo proposto dai “Penati” si individualizza nell’opera “Eos” dove le grandi labbra diventano strumento di dialogo tra una condizione di terra ed uno stato solare; l’illuminazione captata e trasmessa secondo la prassi di un antico moderno altare sono il tema che Balderi progressivamente va perseguendo ed inseguendo.
Così il passaggio da una condizione culturale ecologico antropologica si specifica nella correlazione dei rapporti celesti, nella ricezione delle influenze e dei segni.
“Latavola degli dei” rappresenta sicuramente, realizzata in dimensioni frequentabili direttamente dall’uomo, il vertice massimo ed esemplare dell’intera ricerca. Un piano circolare è in quest’opera direzionato verso la volta celeste e quindi puntato a captare interamente i suoi movimenti, mentre collateralmente due grandi braccia intendono sottolineare la ricezione collettiva. L’opera trovò, come già segnalato, esemplare collocazione a Volterra, all’interno di un cerchio sprofondato nel terreno circolare di una collina circondata da etrusca struttura difensiva.
Il messaggio non poteva in questo contesto ambientale, e quindi con evidenti caratteri progettuali, essere meglio compreso ed il suo valore suggestivo più profondo e più stretto in rapporto con le origini migliori della storia della condizione umana.
Nel ciclo “7 variazioni di un tema” Balderi opera una ulteriore scelta per soluzioni espressive con grammatica ermetica che meglio si adattano ad esigenze analitiche ed individualizzate tematicamente. II lavoro svolto fino a questo ciclo del ’74 ha fornito ormai la precisa conoscenza delle forme e degli strumenti di ricerca: “Dopo 10 anni di ricerca delle forme attraverso la scultura sono arrivato a due forme primarie: una è l’uovo che è una rotazione dell’ellisse e ha per sezione il cerchio, l’altra il prisma la cui sezione è il triangolo. Con questi due elementi, componendoli, propongo sette possibilità di metterli insieme che sono sette sculture. Sette sculture diverse anche se sono composte con gli stessi elementi” (I.B. ’74).
Un’attività di ricerca interna al Iinguaggio delle forme e dai volumi della scultura, che pure non rischia raffreddamenti ma ulteriormente cresce nell’impatto emozionale; pur estremamente lucida nella conduzione creativa ogni opera è fonte di inquietanti enigmi, stimolazione diattenzione per le soluzioni e variazioni su una grammatica scarna ed essenziale, originaria nel luogo ed elaborata del prisma, “…nella combinazione di tali volumi, che restano in sé identici, egli propone l’immagine del divenire organico dei’corpi’, quanto le mutazioni che il rapporto di essi con un determinato spazio può provocare in un ambiente” (F. Russoli ’74).
Ora, e rispetto alla data di redazione, edal successivo lavoro di Balderi, si deve anche aggiungere che il significato del ciclo “7 variazioni di un tema” rappresentava anche il tentativo di superamento di una condizione ‘dipendente’ dall’ignoto, vissuta in continuità storica dall’uomo, e risolvibile attraverso un’analisi dei propri mezzi e strumenti, e quindi realmente penetrabili in funzione ulteriormente costruttiva di una condizione’nuova’, La manipolazione dei solidi geometrici con impegno verso il rispetto delle interne valenze espressive e loro esaltazione e collettivizzazione, sono nel percorso creativo di Balderi, il più emblematico risultato.
Da queste sette opere di grandi ed impegnative dimensioni nascerà tutta una nuova produzione al cui centro è posto quell’uovo; una sfera messa in rotazione dentro una ellisse, “posto in complesse e varie relazioni ancora calcolate per mezzo del computer dapprima con uno o più poliedri e poi con solidi solo virtuali dati dall’indicazione concreta di spigoli e sezioni; e chiuso entro la spazialità definita di contenitori rigorosi, per lo più cubici” (L. Caramel ’78).
Le opere che nascono tra il ’76 ed il 79 seguono un iter chiaramente progettuale che forse prendeva spunto dagli enigmatici strumenti della scienza, della matematica, della fisica, per operare sulla strada della reinvenzione di regole e formule consone alla verità fuggita della creatività,
Ogni realizzazione è relatrice di una verità esatta ma senza senso quale monumento ad una società delle certezze così che la molla continua ad essere la frequentazione da parte di Balderi di un fine e lucidissimo spirito ironico, demistificante ma senza approssimazione, filologicamente attento alle grammatiche tecnico espressive ritenute necessarie al campo d’indagine.
Con i lavori degli ultimi anni (’79/’84) si ha una ulteriore inversionedi tendenza che ci riporta in un ambito di ricerca pura di forme, tra soluzioni modulari in contrapposizione tra vuoti e pieni, ma sotto la cui superficie è avvertibile la produzione di una articolata strumentazione nuovamente testimone di impegno architettonico, anche se non nel significato antropologico naturalistico delle prime colonne; la scelta della forma spirale e della piramide se non possono essere riduttivamente osservate nel ruolo di “intenzioni misterisofiche” (G. Dorfes’82) raccolgono comunque dalle avventure tematico creative precedenti viva testimonianza e naturale dipendenza. II risultato profondo appare ulteriormente impercettibile tanto enigmatica è la scelta delle forme e di ogni singolo particolare il valore nel dialogo complessivo; l’ignoto irriconoscibile ma avvertito nella sensibilità.
Andrea B. Del Guercio - 1984