Dal 7 febbraio al 2 marzo 2025 - dal venerdì e sabato 15.30/20.00
Altri giorni su appuntamento telefonando al +39 3409264916
Inaugurazione giovedì 6 febbraio 2025 ore 18.30
Atelier Balderi
Archivio Iginio Balderi, via Ausonio 20 – Milano
archivio@iginiobalderi.org
@archivioiginiobalderi
Dal 7 febbraio 2025 con inaugurazione giovedì 6 febbraio 2025 ore 18.30 presso lo spazio espositivo Atelier Balderi dell' Archivio Iginio Balderi di Milano si apre al pubblico la mostra dell’artista milanese Michele Ferrari: "Paesaggi" – STRACCI 2025 -
Dopo il tour olandese (Galerie Conny van Kasteel e Centro delle Arti Boterhal di Hoorn) all'Atelier Balderi di Milano viene esposta una vasta selezione di quadri di grande e piccolo formato prodotti in questi due ultimi anni dall'artista.
Paesaggio 2024 - stoffa su legno - cm50x82,5
Michele Ferrari
“Sopravvivenze materiche di fragilità universali”
Testo di Francesco Caputo - Art Curator -
Nato a Novate Milanese nel 1964, Michele Ferrari è un artista la cui ricerca espressiva è caratterizzata da una relazione intima e personale con l’elemento materico, nonché dal ritorno alla pura fisicità del gesto creativo. La sua formazione si radica nelle aule del liceo artistico, dove un’educazione visiva classica si intreccia con l’esplorazione precoce delle forme e dei materiali artistici. A partire dagli anni ’80, Ferrari inizia la carriera di grafico, che si articola in variegati settori quali il design, la moda e l’editoria. Per decenni, il digitale rappresenta l’orizzonte espressivo principale della sua produzione, fino a quando un desiderio prepotente di ritorno alla manualità e all’essenza tangibile della materia lo spinge a intraprendere un nuovo capitolo della sua vita artistica. Intorno agli anni 2019/2020, infatti, questo impulso si cristallizza in un’indagine profonda e viscerale che darà in breve tempo vita a un dialogo dai tratti esistenziali con la sostanza materica, portando Ferrari a riconsiderare il proprio rapporto con la creazione.
Le prime opere scaturite da questa ricerca, come lampade, sedie e bottiglie ricoperte di stoffe e altri materiali di recupero, rappresentano ancora un approccio vicino al design. Tuttavia, è proprio in questi oggetti d’arte che già si intravede una poetica in nuce, che si evolverà rapidamente in un’esplorazione concettuale più matura e consapevole. L’ascesa di Michele Ferrari nel panorama artistico si concretizza in una serie di mostre personali e collettive che ne segnano l’affermazione. Inizialmente, partecipa a importanti collettive come Il Mondo ed Io (2020, Palazzo Saluzzo, Genova) e System Art (2020, Galleria Cael, Milano), confermando in entrambe le occasioni la versatilità e l’originalità della propria produzione. Nel 2022 si tiene, invece, la sua prima personale, Rags, presso la Galleria Luar Bovisa di Milano, per mezzo della quale introduce al pubblico la sua peculiare poetica del recupero. Successivamente, con Stracci 2023, (2023, Atelier Balderi, Milano) e Anders Gebruikt (Kunstcentrum de Boterhal, Hoorn, Netherlands), Ferrari consolida la propria presenza a livello internazionale, proponendo una visione artistica profondamente radicata nell’esperienza materica e nell’insospettabile vissuto emergente dal quotidiano.
Paesaggio 2025 - stoffa su legno - cm87,5x133
Il fulcro della ricerca di Michele Ferrari risiede nell’impiego di materiali di recupero. Tavole di legno, vecchie sedie, lampade ricoperte di stoffe, jeans usati, bottoni, intimo in pizzo, vecchie lenzuola rinvenute nei vecchi armadi dei genitori, girasoli secchi - e persino l’indistinto sporco pulviscolare che si accumula sotto il divano - diventano elementi cardine di un processo artistico che trasforma lo scarto in opera d’arte. Ciascuno di questi materiali risulta, infatti, connesso a tematiche precise, derivanti dal loro rapporto di partecipazione all’esperienza esistenziale dell’artista. Per esempio, i jeans usati evocano un senso di usura quotidiana e, dunque, la resistenza, mentre le lenzuola dei genitori rappresentano il legame intimo con le radici familiari, che riconducono Ferrari ai ricordi del negozio del nonno “Tessuti Pedraglio” in piazza Cordusio, quasi un segno premonitore delle future evoluzioni artistiche. Tale approccio invita lo spettatore a esplorare significati stratificati, in cui ogni materiale è parte integrante di un dialogo concettuale, estetico ed esistenziale. Nessun trattamento volto ad alterare l’aspetto cromatico dei materiali viene effettuato: il loro vissuto resta intatto, preservando una memoria che si rigenera nell’atto creativo. Gli oggetti entrano in contatto l’artista e si offrono in qualità di testimoni di una vita trascorsa, trasformandosi, grazie alla sua sensibilità, in veicoli di bellezza. Questa dinamica di dialogo e scoperta conferisce alle opere un’aura di spontaneità e autenticità che contrasta con le rigidità della produzione industriale e consumistica contemporanea. Il dialogo ravvicinato che si pone in essere con la sostanza dell’opera riconosce, infatti, un lirismo inedito e dai tratti crepuscolari all’elemento materico, non più visto esclusivamente sotto il profilo funzionale ed espressivo, bensì in una chiave che lo rende materia viva e partecipe del processo artistico.
Un esempio paradigmatico di questa poetica si ritrova nella serie dedicata al mondo, in cui vecchie antenne paraboliche diventano il supporto ideale per rappresentazioni del globo terrestre realizzate con l’ausilio di stracci di juta o mascherine sanitarie. Oltrepassando dialetticamente la dicotomia classica fra materia e anima, ossia tra finito e infinito, Ferrari opera, infatti, una sintesi che non riduce l’elemento materico a pura dimensione inerziale, in quanto ne vivifica la storia proiettandola in una nuova dimensione estetica. E dunque, così come le vecchie parabole univano il globo nel segno delle radiotrasmissioni via etere, così Ferrari fa emergere dalle loro vestigia un’istanza di rigenerazione che si compie nel segno dell’unione fra gli individui e in una ritrovata sensibilità verso il nostro presente. Questa scelta artistica, oltre a evocare il fascino cartografico delle mappe antiche, si configura non solo come una riflessione sulle dinamiche globali di spreco, connessione e isolamento, ma trasforma un oggetto quotidiano, divenuto simbolo del nostro tempo, in una testimonianza estetica e culturale.
Allo stesso modo, i paesaggi di Ferrari, accennati e indefiniti, emergono come visioni oniriche di tessuto su tavole lignee, anch’esse di recupero. Questi supporti, spesso caratterizzati da venature, imperfezioni e tracce del tempo, diventano parte integrante della composizione, contribuendo al dialogo tra il passato e il presente che l’artista instilla in ogni sua opera. Le tavole e, talvolta, anche le cornici, lungi dall’essere trattate come semplici superfici neutre, vengono reinterpretate come frammenti di memoria, in cui ogni graffio e irregolarità contribuisce a creare un substrato emotivo che arricchisce la narrazione visiva. I paesaggi che prendono forma su questi supporti sembrano come sospesi tra realtà e incanto. Gli intrecci e le combinazioni dei tessuti assumono le sembianze sfumate di orizzonti appena suggeriti, giochi di luce e ombre che si dissolvono nel non detto e che evocano, infine, una natura interiore che si rivolge alla dimensione metafisica dell’esistenza. L’indeterminatezza delle forme è parte integrante del lirismo visivo dell’artista, in quanto, anziché rappresentare luoghi concreti e reali, Ferrari invita lo spettatore a proiettare le proprie esperienze e visioni personali nelle vedute, trasformandole in specchi dell’anima. La scelta, inoltre, di utilizzare materiali di recupero anche per la composizione non è casuale, ma rispecchia l’urgenza di attribuire nuova vita a ciò che è stato abbandonato. In queste tavole, la materia stessa sembra parlare, unendo l’artista e lo spettatore in una meditazione condivisa sul tempo, sulla fragilità dell’esistenza e sulla possibilità di riscatto estetico. I paesaggi, composti da sorprendenti trame di tessuto, sono, infatti, lontani dall’esprimere una volontà meramente descrittiva e si aprono verso una dimensione lirica e atemporale, suggerendo l’idea di un infinito che, più che spaziale, appare spirituale. Attraverso questo gioco di accenni e silenzi, Ferrari riesce a evocare una profonda introspezione, trasportandoci in un altrove in cui il confine fra arte e vita si dissolve. Solo in rari casi emergono elementi antropici vagamente riconoscibili, come nel caso del Duomo di Milano. Il fine ultimo è, tuttavia, anche qui quello di evocare un senso di memoria collettiva e individuale. Esprimendo il proprio legame con il territorio milanese, l’artista concede spazio alla soggettività di chi osserva, permettendo al proprio vissuto di emergere e abbracciare l’opera in maniera del tutto personale.
Attraverso il recupero della dimensione emotiva del proprio rapporto con l’essenza materica della memoria, Ferrari opera uno slittamento ontologico: ciò che era destinato all’oblio riscatta il proprio destino, elevandosi a medium di significati nuovi e rivelando, infine, una bellezza nascosta. Questo processo è riscontrabile persino nell’atto creativo stesso. Quando Ferrari utilizza i tessuti, infatti, non li ritaglia, bensì li strappa. Tale atto, apparentemente semplice e casuale, si carica di una valenza poetica sottile, che esprime la capacità dell’artista di accettare sinceramente la materia così com’è, accogliendone le imperfezioni e inserendole in una narrazione estetica più ampia e spontanea.
Paesaggio 2024 - stoffa su legno - cm80x122
Le sue opere, come si può intuire, risultano in contrapposizione con molte delle istanze culturali contemporanee, in particolare quelle legate alla produzione seriale e alla spersonalizzazione digitale. In un contesto che sembra premiare velocità e superficialità, Ferrari riscopre un ritmo lento e riflessivo, proponendo una visione diversa che dona nuovo valore alla manualità, alla percezione materica della memoria e all’autenticità. Questo dialogo critico con il presente si traduce in opere che riflettono una consapevolezza ambientale e sociale, evitando ogni banalizzazione retorica, e si caricano, in ultima analisi, di una poetica sincera e foriera di risvolti concettuali tangibili. La sua arte, lungi dal ripiegarsi ed esaurirsi in una retorica ambientalista superficiale, reinterpreta il concetto di sostenibilità in una chiave personale e soggettiva. Nello stesso modo, infatti, in cui questi oggetti hanno fatto parte, seppur talvolta in maniera fugace, della nostra esistenza, così ora partecipano di una dimensione artistica che si apre verso l’assoluto. Tale approccio, intriso di consapevolezza, riafferma l’importanza di una connessione autentica con il passato e con le tracce che esso lascia, insegnandoci ancora una volta che l’arte può nascere ovunque e da qualunque cosa. Il suo lavoro non è solo una celebrazione della materia, ma anche un invito a riconsiderare il nostro rapporto con il consumo, con il tempo e con la memoria. In un mondo che tende a dimenticare e a scartare, Ferrari recupera, conserva e trasforma, restituendoci una bellezza che è al contempo fragile e potente, intima e universale.
Francesco Caputo - Art Curator -